Teatro

Michela Lucenti: quando il teatro si sporca le mani

Michela Lucenti: quando il teatro si sporca le mani

In un parco, un vecchio seduto su una panchina saluta con la mano qualcuno. Michela Lucenti osserva in direzione del suo sguardo ma non vede nessuno. Quel saluto cade nel tempo di chissà quale ricordo: forse un figlio, forse una donna, forse la proiezione di un desiderio. “How long is now”, lo spettacolo di Balletto Civile che ha visto in scena, al Teatro della Tosse di Genova, insieme agli artisti anche 13 ospiti della residenza per anziani Duchessa di Galliera, ha la delicatezza dei gesti e delle parole di una volta, i colori di una fotografia ritoccata a mano. Ma possiede anche lo slancio e la forza di una testimonianza collettiva che attraversa le generazioni.  Uno spettacolo commovente e profondo, che nel tracciare il passato di un vecchio professore, attraverso i suoi ricordi colma i vuoti della vecchiaia, le perdite di riferimenti spazio temporali. E lascia il pudore di un’identità che appartiene al corpo, al suo vissuto e al suo sapere.

Michela Lucenti, perché un lavoro sulla vecchiaia?
Sentivo da tempo la necessità di affrontare questo tema, a me caro, per indagare alcuni aspetti legati alla vecchiaia: la trasmissione del sapere, inteso come esperienza e conoscenza, alle nuove generazioni. Invecchiare è conoscere: noi siamo il frutto di ciò che è stato, non possiamo prescindere dal nostro passato. Per me passaggio generazionale significa trovare una piccola via di incontro, un passaggio di comunicazione.

Come nasce "How long is now"?
Dall’osservazione. E da un’immagine per me folgorante. Ero in un parco: un signore anziano seduto su una panchina poco distante all’improvviso saluta qualcuno che non c’è. Penso che si tratti di un ricordo, della percezione di una presenza reale. Da quel momento mi metto in ascolto e, osservando, emergono via via gli elementi che costituiscono lo spettacolo. Per esempio, le registrazioni di alcune telefonate che chiudono "How long is now" scaturiscono da un lavoro d’improvvisazione con gli anziani. Abbiamo chiesto loro di fingere di invitare i nipoti a trascorrere con loro una vacanza: allora hanno usato tutte le possibili attrattive, la sauna, il bagno turco, la colazione a buffet, la presenza di discoteche sul luogo di villeggiatura.

Lo spettacolo ha coinvolto in ogni piazza anziani di una casa di cura del territorio: come si è svolto questo percorso di coinvolgimento?
Nel caso di Genova abbiamo lavorato con gli anziani del Duchessa di Galliera per una decina di giorni, accompagnati dai referenti dell’istituto e dai parenti. Non tutti gli anziani se la sentono di partecipare allo spettacolo, ma la gran parte segue con piacere questa nuova avventura. Si tratta di un percorso che ha radici in anni di lavoro, giacché la compagnia ha avuto residenza per diverso tempo nella sede dell’ex ospedale psichiatrico di Udine, che ospita oggi un centro diurno per anziani disabili.

In questo lavoro ha coinvolto anche suo padre, nella parte del vecchio professore…
Mio padre, che lavorava come impiegato, non aveva mai recitato nella sua vita, non si era mai espresso con il corpo in scena. Però ha sempre amato il teatro. Se in apparenza non abbiamo mai avuto nulla in comune io e lui, questa sua presenza in scena mi ha emozionato permettendomi di scoprire una sensibilità di cui ero inconsapevole. In verità non è il primo lavoro che affronta con Balletto Civile. L’esordio è stato alla Biennale Danza di Venezia, nello spettacolo "Creature", in cui ha rappresentato un capitolo sulla bellezza incentrato sul tema della generazione.

Come definisce il suo lavoro di coreografa del collettivo Balletto Civile?
Per noi l’arte è strumento d’indagine della realtà, un lavoro in cui ci si sporca le mani. Abbiamo parlato di terremotati, di delitti, di malattia, di scambismo, di ciò che appartiene alla realtà che ci circonda. Presto affronteremo un lavoro sulla gentrificazione, un fenomeno sempre più diffuso di spostamento di gruppi sociali in determinate aree urbane. Cominceremo da un laboratorio in una comunità punk. Ho la sensazione che buona parte della danza e del teatro siano lontani dalla gente. Affrontare tematiche legate alla cronaca, alla società, alla politica non significa per noi, tuttavia, trascurare la dignità estetica e formale dello spettacolo.

I maestri che hanno lasciato un’impronta nella sua visione del lavoro?
Ho cominciato a studiare danza nella mia città, La Spezia, con Loredana Rovagna, la mia prima maestra. Devo a lei il primo insegnamento sull’importanza di osservare. In seguito un incontro fondamentale è stato quello con Beatrice Libonati per la conoscenza del lavoro di Pina Bausch. Tra le altre esperienze internazionali, quelle con Carolyn Carlson, Bob Wilson e Jan Fabre. Devo molto anche alla formazione di attrice presso la scuola del Teatro Stabile di Genova. La danza e il teatro alla fine sono confluiti in una sintesi: il teatro fisico di Balletto Civile.